Il Muro del Pianto: la virtù di Pianigiani e le "paroline" di Stoudemire

Il brillante campionato dell'Hapoel Gerusalemme guidato dall'ex coach della Nazionale azzurra, in cui milita Amare'e Stoudemire, al centro delle chiacchiere per un commentino omofobo
02.03.2017 20:30 di  Domenico Landolfo   vedi letture
Il Muro del Pianto: la virtù di Pianigiani e le "paroline" di Stoudemire

Se il campionato israeliano è sempre ricco di sorprese, non lo si deve solo ad un regolamento abbastanza nazionalista che impone almeno due nativi sul campo indipendentemente da quanti siano gli stranieri a referto. Di certo il Maccabi è una squadra di un livello superiore, ma non sempre l’alloro nella terra promessa ebraica riesce, con tante piccole e medie realtà che si affacciano sul proscenio senza timori reverenziali. Un po’ in sordina, l’avventura di Simone Pianigiani all’Hapoel Gerusalemme è iniziata con tanti dubbi e incertezze, palesatisi già nel torneo in Sardegna quest’estate a cui avevano partecipato tra le altre la Dinamo Sassari e la Pasta Reggia Caserta: bisognava carburare e provare a costruire, le premesse erano gettate ma bisognava concretizzare.

Un campionato comunque di alto livello, in cui le partite non sono mai scontate, ha messo a dura prova una delle tante squadre della capitale che riempiono la lega, poi però le acque si chetano, come quelle del lago di Tiberiade, ogni pedina va al suo posto come in una delle strategie di Moshe Tilke e l’Hapoel inizia a stupire. Vittorie a ripetizione, la supercoppa scippata al Maccabi, una classifica che da deficitaria diviene importante, con un secondo posto e una caccia ancora aperta alla capolista, ancora identificabile in Goudelock e soci. Vi è di più: un cammino in Eurocup senza macchia, con vittorie prestigiose, che arriva con autorità ai quarti. Andata vinta di 20 contro Gran Canaria, non certo l’ultima arrivata, ritorno previsto domani sera con ampi margini di provare a raggiungere la Final Four.

Imprescindibile l’apporto di Simone Pianigiani, che ha dovuto calarsi in una realtà difficile, in cui diciamo che il basket non è certo la cosa più importante, ma che comunque vede un palazzetto importante, tanti spettatori e un’organizzazione che è molto simile a quella di un team americano. La scelta di giocatori americani con esperienza e carattere è stata però determinante. Curtis Jerrels è quel funambolo che da combo guard riesce a spezzare le partite anche con canestri fuori dagli schemi, Jerome Dyson è quell’istrionico go to guy all round da cui andare quando la palla pesa. E poi Amare’e Stoudemire, che gioca gli ultimi scampoli della sua carriera in terra santa, convertitosi all’ebraismo, nella squadra di cui possedeva una partecipazione che ha ceduto prima di firmare il contratto.

Squadra che però risente molto, nel bene e nel male, delle prestazioni o meglio delle uscite legate all’ex #1 di Knicks e Suns: dopo quello di qualche anno fa su una parata gay, al cui commento piccato erano seguite multa e sospensione Nba con annesse scuse, ritrattazioni e messaggi pro diritti civili, il tema dell’omofobia è tornato dirompente tra le righe virgolettate del campione americano. Ha ammesso che non farebbe la doccia insieme ad un compagno che ha altri orientamenti sessuali, né farebbe la sua stessa strada o potrebbe mai trovarcisi da solo. Chiamato a prenderne atto, ha ammesso che i toni erano scherzosi, lasciando però glissare su quel “negli scherzi si cela sempre un fondo di verità” che fa librare le parole a mezz’aria come proiettili. Sarà una spaccatura per la squadra? Ci affidiamo alle letture impegnate del Vecchio Testamento per trovare risposta, anche se su queste vicissitudini, che poco hanno a che fare con la pallacanestro, neanche la pazienza di Giobbe o la saggezza di Matusalemme potrebbero essere utili nel dirimere la controversia.