NBA Finals 2017: Cleveland Cavaliers, non ci resta che piangere?

Tra possibili soluzioni e contromisure, l'attesa di gara 3 per la franchigia dell'Ohio
06.06.2017 18:44 di Domenico Landolfo   vedi letture
NBA Finals 2017: Cleveland Cavaliers, non ci resta che piangere?

Due brutte sconfitte non indirizzano certo una finale che, un anno fa, vedeva le medesime condizioni di punteggio al momento dello spostamento in Ohio, seppur dopo che i Warriors avevano vinto due gare tiratissime. LeBron, come in tutti i playoff, sta ancora tirando la carretta con grinta voglia e un carisma che forse non si era palesato anche nelle precedenti finali. Il suo non presentarsi in conferenza stampa, il rispondere molto ironico a qualche piccata domanda dei giornalisti nel tunnel, sono il sintomo della grande concentrazione che il nativo di Akron sta provando a mantenere. Sensazioni che stridono, per non dire "puzzano" con quell'odore di marijuana diffuso nella dressing room dei Cavs dopo gara due, stando a qualche cronista americano.

Spostandoci alla Quicken Loans Arena, le cose devono cambiare su tanti fronti, per evitare un clamoroso sweep che non si vede proprio dai tempi di un giovane LeBron, che fu spazzato via con dei Cavs imbarazzanti, dai San Antonio Spurs. Impossibile per Cleveland continuare a concedere più di 110 punti ad allacciata di scarpe a Steph e soci, che hanno nelle mani il ritmo e il fitbit di questa serie, senza che appaia probabile interrompere in maniera significativa questo flusso. Si parlava di Shumpert come homo novus del quintetto, e sarebbe interessante capire se gli si chiederà di giocare al posto di J R Smith e quindi da guardia in attacco, provando ad aiutare Lebron nella single coverage su Durant, che finora ha tagliato in due la serie come il grissino col tonno in tv. Quindi difesa, ma potrebbe non bastare. Serve che Cleveland aumenti la marcia in attacco e finalizzi quanto LeBron costruisce per i compagni. Se Irving e Love, magari non con tanta presenza ma con solidità stanno dando una mano, con tre giocatori a metterla dentro non si va lontano.

Smith non è un fattore in produzione offensiva, e in difesa non è stato così incisivo, Tristan Thompson è passato dai fasti delle semifinali di conference ad essere un telepass indifeso al cospetto di Zaza Pachulia e Javale McGee. Tra l'altro se poi Steve Kerr tende anche a cercare il quintettino con Green o addirittura Durant da numero cinque, è ancor più difficile dominare in vernice. Serve quindi che dalla panchina escano giocatori pronti e reattivi. Magari in questo senso J R Smith come sesto uomo, assieme a Korver, può incidere, ma sarà imprescindibile che Deron Williams e Jefferson siano più continui. Specie il play ex Utah è apparso l'emblema della netta superiorità Warriors, visto che il suo contrappunto, ossia Shaun Livingston, sta spostando e non poco con punti e letture. Nonché degno di una puntata di Chi l'ha visto, quel Channing Frye che era tanto importante prima quanto invisibile adesso: le sue triple potrebbero e dovrebbero aprire il campo, invece non va così.

Detto della difesa, detto di un attacco che deve iniziare a mettere dentro quanto costruisce non limitandosi a guardare le giocate di King James, per la squadra di Tyronn Lue, a ben vedere, non resta che pregare, perché quei talenti come Durant e Curry non sono soggetti a una marcatura razionale, perché se poi uno segna anche mentre sta cadendo sul parquet e l'altro dal palleggio poco dopo il centrocampo, hai poco in cui sperare se non che le loro percentuali si abbassino. Occhio però a non dimenticarsi di Klay Thompson, vero killer silenzioso della serie, che può sempre essere quel fattore ad hoc che spariglia il tutto. Se Benigni e Troisi, dopo aver provato a contattare anche Leonardo da Vinci, concludevano infine amaramente col celebre "non ci resta che piangere" a Cleveland non resta che sperare che qualche ingranaggio giri, come la passata stagione, e che anche la cabala possa dare una mano guardando al precedente della scorsa stagione.