La storia di Jerry Sloan: "When winning doesn't mean a ring"

L'uomo, il giocatore ed il coach, diviso tra Bulls e Jazz, nel giorno che la città di Salt Lake gli ha dedicato
31.01.2017 18:45 di  Domenico Landolfo   vedi letture
La storia di Jerry Sloan: "When winning doesn't mean a ring"

Prendersi cura della propria famiglia è il simbolo più vicino all'immaginario della cultura dei mormoni, così quando nel 2013 a Salt Lake City viene istituito il "Jerry Sloan's day" il campo non c'entra nulla. È il prendersi cura da chi ha fatto parte della vita (cestistica e non solo) di una squadra e di una realtà, con dedizione, passione e cura spasmodica verso tutti quelli che, con la maglia Jazz indosso, possono essere considerati suoi figli putativi. Il parkinson e la memoria sono avversari che sul parquet difficilmente puoi affrontare, ma nulla potrà cancellare ciò che è stato fatto vicino a quei canestri. Jerry Sloan è leggenda, non perchè sia stato inserito nella Hall of Fame.

Quando nasci in una famiglia di 10 figli nell'Illinois rurale degli anni 40' e perdi tuo padre a 4 anni, nonchè ogni giorno, prima di andare alla High School, devi lavorare nei campi, svegliarti all'alba e poi essere puntuale alle 7 in palestra per allenarti, si vede fin da subito che sei di una pasta diversa. Giocherà per 4 anni in un college di seconda divisione ad Evansville, raggiungendo il titolo in due occasioni, si mostrerà agli scout Nba tanto da essere la 19' scelta assoluta del draft del 1963, nonché la 4' assoluta di quello "esteso" dell'anno successivo, raggiungendo la consacrazione in maglia Chicago, la #4 per la precisione.

La sua tenacia difensiva gli varrà il soprannome di "Original Bull" ma i problemi al ginocchio non gli regalano più di 11 anni di onesta carriera, raggiungendo playoff. Ha una visione del gioco di insieme diversa, è destinato ad allenare, ma quello che lo caratterizza è un ruolo duplice, prima di scout, poi di allenatore. Il suo occhio è lucido, i risultati comunque arrivano, già a Chicago, dove era già stato ritirato il suo numero di maglia, col primo divisional title che anticipa l'era Jordan, poi la toccata e fuga ad Evansville (dove rescinde pochi giorni dopo dalla firma, per sua fortuna visto che quella squadra e il suo staff periranno in un incidente aereo quello stesso anno), e dopo un anno in CBA di cui si sa poco arriva a Utah nel 1988, iniziando una carriera di 24 anni, di cui 19 consecutivi ai playoff. Sotto la sua gestione arrivano Stockton, Malone, le finali perse con Jordan, il suo sistema è forte nel valorizzare le doti dei singoli, come emerge limpidamente dalla single coverage chiesta a Russel su Jordan in quella famosa finale, eppure non arriva l'anello. Raggiunge le 1000 vittorie con singolo club, è tanto fumantino sul campo da beccarsi anche due sospensioni, a distanza di 10 anni dall'altra, per aver spinto due arbitri che non avevano visto il gioco così com era sotto i suoi occhi. Il tutto finisce contro i Bulls, il 10/2/11, proprio contro la squadra del suo destino, quella della sua terra e in cui aveva esordito, e che poi l'aveva battuto in finale due volte, con gare ai limiti dell'umano e ai confini del divino Air Jordan.

Quanto sarei voluto essere nei cellulari di Deron Williams e CJ Miles per poter leggere i loro messaggi in cui si lamentavano del sistema troppo rigido e troppo vincolante del proprio coach. Sarebbe servito, ma l'avrebbero capito più tardi. Non è un caso che magari Sloan viene mandato via, tutto il suo staff lo segue di sua spontanea volontà, e solo due settimane dopo l'altra faccia della medaglia, Deron, viene girato in una trade ai Nets. La ragione non serve, l'umanità resta, e Sloan era un coach che faceva delle cose semplici e della pallacanestro un modo di vivere puro, genuino, in cui germogliare giorno dopo giorno. Quando Phil Jackson, che è il suo rivale e forse la sua nemesi, ma anche qualcuno che dosa le parole con parsimonia e può rispettare solo un nemico alla pari lo descrive, parla di un uomo "stubborn" (testardo), qualità importante per un coach, ma anche di "system" che è riuscito a produrre una pallacanestro di livello anche in Utah, non certo la meta preferita dei free agent in estate. Questo era Jerry Sloan, nudo e crudo, il gran maestro non si sbaglia.

Puoi non vincere nulla una carriera intera, ma dove hai seminato i frutti crescono sempre, e i grandi uomini, merce rara al giorno d'oggi, sanno bene come farsi ricordare, e la famiglia saprà sempre proteggerti qualora dovesse succedere alcunché.