Rick Barry, il "Gipsy" del New Jersey che tirava i liberi dal basso

La storia di Rick Barry e della sua peculiarità: tirare i tiri liberi dal basso...
29.03.2017 20:31 di Luca Servadei Twitter:    vedi letture
Rick Barry, il "Gipsy" del New Jersey che tirava i liberi dal basso
© foto di web

“Ci sono tre modi di fare le cose qui: il modo giusto, il modo sbagliato, ed il modo in cui le faccio io”.

Così parlò Sam "Asso" Rothstein, al secolo Robert de Niro, nel celebre film del 1995, Casinò, diretto dal genio di Martin Scorsese. Asso, partito dal nulla, riuscì, grazie al proprio talento (per le scommesse) ed ai propri modi spicci e risoluti, a diventare l’indiscusso “Re” di Las Vegas a cavallo tra la fine degli anni ’60 e ’70. Niente di così diverso da quanto accadde per Richard Francis Dennis "Rick" Barry III, anche se in questo caso, per fortuna, parliamo “solo” di pallacanestro.

Rick Barry, padre di Scooter, John, Drew e del più famoso Brent, è infatti ricordato come uno dei più  arroganti, insolenti e tracotanti giocatori che abbiano mai calcato i parquet della NBA, uno che nella propria biografia, “Confessions of a Basketball Gypsy” (e già il titolo la dice assai lunga..), ha addirittura ammesso di avere colpito con un pugno una suora.

Robert Parish, il leggendario 00 dei Boston Celtics, diceva di lui: “Ha la brutta abitudine di guardare tutti dall’alto verso il basso, è totalmente privo di diplomazia”. Un uomo, insomma, dalla cui bocca, sarebbe potuta tranquillamente uscire una frase come quella di cui sopra. Ed in effetti, a pensarci bene, c’era una cosa che Rick faceva in maniera totalmente diversa da chiunque altro: i tiri liberi. Esistono modi giusti per segnare dalla lunetta, (chiedere a Steve Nash, Mark Price e Peja Stojakovic), modi sbagliati (citofonare Ben Wallace, Shaquille O’Neal o Dennis Rodman) ed esiste, poi, la maniera di Rick: tirare dal basso. Si tratta di una tecnica poco ortodossa ma spesso fruttifera, molto fruttifera nel caso di Barry che usando questo stratagemma arrivò a sfiorare una favolosa percentuale in carriera del 95% di realizzazione.

E proprio come il fortunato “Asso”, Rick di talento ne possedeva, eccome… Abbastanza, almeno, da essere inserito nell’elenco dei 50 più grandi giocatori di tutti i tempi, premiato insieme ad altre 46 leggende del parquet nella notte dell’All Star Game del 1997 a Cleveland, Ohio. Esiste un solo giocatore nella storia della pallacanestro ad essere stato top scorer nella NCAA, nella NBA e persino nella ABA: provate ad indovinare di chi stiamo parlando.

Nato nel 1944 a Elisabeth, New Jersey, figlio di un allenatore di una piccola squadra locale, Rick si mise presto in luce presso la “University of Miami”, sotto la guida di coach Bruce Hale (divenuto poi suo suocero), dove chiuse il suo anno da senior all’incredibile media di 37.4 punti a partita. La sua esplosione gli valse la chiamata al primo giro del draft da parte dei San Francisco Warriors, letteralmente trascinati nell’anno da sophomore alle Finals NBA contro i Sixers di Wilt Chamberlain, dove, nonostante la sconfitta, viaggiò ad oltre 40 punti di media.

Erano gli anni dell’accesa rivalità tra la NBA e la ABA (American Basketball Association) che scelse proprio Barry come uomo perfetto per rappresentarla. Pat Boone, il proprietario degli Oakland Oaks, squadra che giocava le proprie partite casalinghe sull’altra riva della Baia, riuscì a convincere il giovane Rick a trasferirsi nella neonata lega ricoprendolo letteralmente di oro. Furono anni meravigliosi ed al contempo maledetti: Barry vinse subito il titolo di miglior realizzatore (ad oltre 34 punti di media) e gli Oaks si laurearono campioni superando gli Indiana Pacers (si, quegli Indiana Pacers) 4-1 in finale. La mancanza di un contratto televisivo e le continue perdite finanziarie portarono però ben presto la lega a trasformarsi in una sorta di circuito indipendente. Gli Oaks con grande disappunto di Barry si trasferirono prima a Washington (“Se avessi voluto andare a Washington mi sarei candidato per la presidenza degli Stati Uniti!”) e successivamente in Virginia ("Mio figlio andrà alla scuola materna quest'anno. Non voglio che impari a parlare con l’accento del sud. Tornerà a casa da scuola dicendo: ‘Hi y’all, Daad.’ Sono sicuro che non lo voglio").

Dopo un altro anno in ABA con la maglia dei New York Nets, il ritorno in NBA, ancora con gli Warriors, oramai diventati Golden State, con i quali conquistò un altro titolo contro i Baltimore Bullets di Elvin Hayes e Wes Unseld. Altri due anni nella baia prima dell’ultimo trasferimento in Texas, dove con la maglia degli Houston Rockets, per non sbagliare, chiuse la propria stagione segnando 160 dei 169 tiri liberi tentati, tutti, rigorosamente, tirati non nel modo giusto, non in quello sbagliato, ma alla maniera di Rick.

Controverso, arrogante, bramoso di fama e di successo, amato ed odiato, Barry è la sublimazione perfetta di quel concetto di genio e sregolatezza del quale spesso si tende ad abusare ma che raramente come in questo caso riflette il pensiero aristotelico secondo cui: “Non esiste grande genio senza una dose di follia”.