Detroit cambia casa, tra i fasti del passato ed un futuro incerto

La squadra si trasferirà al Little Ceasar nella Midtown
12.04.2017 18:44 di Domenico Landolfo   vedi letture
Detroit cambia casa, tra i fasti del passato ed un futuro incerto

There’ s no place like home. Il “Palace” (of Auburn Hills) lascia che i suoi riflettori risplendano su altro, non sarà più la casa dei Detroit Pistons, come oramai ininterrottamente dal 1988 fino al 105-101 con i Wizard si sono imposti lunedì notte. La squadra si trasferirà ora nel nuovo Little Ceasars Arena, che avrà circa mille posti a sedere in meno (21000 anziché i 22000 della più grande arena Nba in cui si sia giocato negli ultimi anni), sarà futuristicamente inserito nella Midtown del Michigan e vorrà provare a scrivere nuove pagine di storia.

Di fatto l’avvento del Palace of Auburn Hills coincise col primo successo dei “bad boys” con Thomas, Dumars, Lambeer e soci che riuscirono a fare il grande salto, a riempire il palazzetto di una città di eterni perdenti e portare a casa uno stendardo che ancora oggi, a tanto tempo di distanza, vale in bacheca. Non sarà più il palazzetto che ha visto lo squittire delle scarpe di Chauncey Billups, l’ombra della maschera di Rip Hamilton, le gambe piumate di Tayshun Prince e le twin towers Ben e Rasheed Wallace che fecero il miracolo contro i Lakers nel 2004.

Tempi remoti? Forse. Eppure sotto la cenere qualcosa di muove. Di sicuro questi, per i Pistons, sono anni di vacche magre, di un rebuilding che continua incessante ma che non sembra mai poter giungere a una doverosa conclusione. L’aver provato a prendere un giocatore in rampa di lancio e potenziale allstar – almeno nelle sue convinzioni – come Reggie Jackson di fatto è stato un flop, visto che il ragazzo nativo di Pordenone è stato più volte messo fuori squadra, più per comportamenti assurdi da spiegare che per motivazioni particolari da ricercare.

L’aver affidato a un coach di comprovata ed eccentrica esperienza come Van Gundy non è sinonimo di crescita nel lungo periodo, ma con una squadra giovane serve qualcuno che sappia innescare a dovere la miccia, e l’ex allenatore dei Magic può essere quello giusto. Se nelle ultime settimane, dimenticato l’obiettivo playoff, la squadra sta raschiando il fondo del barile per vedere se qualcosa può essere salvato per il futuro, non tutto quello che ne è venuto fuori, come avrebbe detto Seneca a proposito di vino, “è poco o di scarsa qualità”.

Capita raramente di scegliere di vedere una partita di Detroit, non proprio il top della Lega. Magari ci si aspetta che si parli di Drummond, Harris e Jackson, invece la realtà è che l’altra notte, nel match vinto in quel di Houston, si è visto tutt’altro. Se Stanley Johnson dovesse confermare la sua precisione al tiro, troppo spesso mancante, se la coppia Baynes – Marjianovic sapesse farsi trovare pronta in un uscita dalla panchina e se Caldwell-Pope e Ish Smith sapranno metterci grinta ed energia, le vittorie possono arrivare. Perché i tre sotto le luci dei riflettori magari saranno accentratori, ma il loro mattoncino lo portano a casa.

Starà proprio qui quel quid in più che potrebbe trasformare questo gruppo in un roster vincente. Detroit non ha vinto da favorita, si è costruita anno dopo anno e ha digerito sonore delusioni nel tempo, prima di fondarsi come squadra, in cui è il nucleo che fa la differenza, non per i singoli che lo compongono, ma per cosa insieme possono portare alla causa. È questo il prossimo passo nella catena, e chissà che il nuovo palazzo, la nuova casa, senza troppi stendardi al soffitto, possa togliere da questi ragazzi il peso del passato e costruire un nuovo futuro, in cui Detroit potrà essere grande e vincente.