Il lungo viaggio di Charles Shackleford, il "Signore degli Anelli"

Si spegne a 50 anni nella sua Kinston, North Carolina, la vita di Charles Shackleford, uno degli americani più dominanti visti in Italia.
28.01.2017 09:44 di Domenico Landolfo   vedi letture
Il lungo viaggio di Charles Shackleford, il "Signore degli Anelli"
© foto di Facebook JuveCaserta

"Come fai a raccogliere le fila di una vecchia vita... come fai ad andare avanti... quando nel tuo cuore cominci a capire... che non si torna indietro... ci sono cose che il tempo non può accomodare... ferite talmente profonde... che lasciano un segno". Sono le parole che Tolkien prima e Peter Jackson poi fanno ripetere a Frodo Baggins, il portatore dell'anello della saga che ha fatto sognare. Frase più giusta non potrebbe descrivere meglio quel giocatore che con la sua luce ha portato un sogno oltre ogni più roseo confine, mentre con le sue ombre ha disceso le pendici del Monte Fato, fin nel profondo, per un viaggio senza ritorno.

Si spegne a 50 anni la vita e la carriera di Charles Shackleford, forse uno dei più dominanti americani passati anche dal campionato italiano, che con la canotta #14 della Phonola JuveCaserta, in una stagione da 20 punti e 16 rimbalzi di media, seppe costruire mattone dopo mattone un sogno chiamato scudetto, culminato nella celebre gara 5 di Milano. Un ragazzo semplice e dalla bonomia contagioso, schivo ed al tempo stesso eclettico, capace di inserirsi con quel suo fare eccentrico in una comunità che, diffidente delle apparenze, ne avrebbe fatto un figlio, un fratello, un amico, qualcuno a cui volere bene, davvero. 

Una carriera Nba di 303 partite, 105 in quintetto titolare, chiusa con numeri magari modesti (6.2 punti e 5.5 rimbalzi), ma una capacità di sapersi sempre reinventare, tappa dopo tappa, di voler superare i suoi limiti, di voler dimostrare qualcosa. Se il basket moderno ci ha offerto un personaggio come Rasheed Wallace, Charles Shackleford era un precursore dell'identità forte e distintiva di un giocatore di basket. E' infatti colui che, dopo una gara Ncaa, con la maglia di NC State, ad un giornalista Espn rivela senza pudori: "Tirare di destro? Tirare di sinistro? Non fa differenza, sono anfibio..."

Aveste mai cercato una fotografia di quello che era, di quello che sarebbe stato, quella frase racchiude appieno il senso di un giocatore con le mani da pianista di una guardia, il fisico smilzo e maledettamente atletico di un'ala e 208 cm di altezza come il più solido dei centri. Potremmo parlare delle sue stagioni ai New Jersey Nets, di quelle tra Philadelphia, Chicago e Minnesota, ma se il ricordo torna puntuale nella mente di tanti appassionati, è solo forse perchè dei tanti americani venuti in Italia, in pochi hanno saputo segnare un solco così profondo nella storia di una squadra, come era la Caserta di quegli anni. Chiamato a sostituire Oscar, che era venerato con fare biblico, si presenta al precampionato col suo cubo di capelli neri ben irto sulla testa, catene e orecchini sgargianti, occhi stralunati e il sorriso di chi pare non aver mai avuto diligenza in ogni azione.

Le apparenze ingannano, il talento non sfugge all'occhio di compagni e squadra, già dal ritiro quando non poteva nemmeno toccare il pallone perchè ancora vincolato al contratto coi Nets, già era parte integrante di un gruppo in cui gli "scugnizzi" Esposito, Gentile e Dell'Agnello lo avevano già adottato come partner, o molto spesso vittima, di autentiche gag che sarebbero sfociate in petardi nello spogliatoio, finte litigate e sorriso goliardico a 32 denti nelle notti in città. A quel gruppo serviva un professore, un maestro di pallacanestro, e si da il caso che se quella Juve vinse è proprio perchè di fosforo ne arrivava a iosa, sul campo con la filosofia di Tellis Frank e dalla panchina con le geometrie di Franco Marcelletti

Shackleford era quel personaggio che a volte ritieni un alieno senza bandiera, che porta in trasferta due scarpe sinistre, gioca con delle sneakers qualunque e va oltre i 20 punti e rimbalzi contro Reggio Emilia. Ripete, per poco, lo stesso errore la settimana dopo in una trasferta di coppa, ma in qualche modo la destra mancante arriva, si evita il re-peat della stessa scena. E' quello che toglie le parole ad un mostro sacro americano come Mike D''Antoni quando nel finale di gara 5 guida i suoi allo scudetto, a superare quell'ostacolo che sembrava proibito, con 20 punti e 20 rimbalzi che valgono il tricolore. Ci sarebbe da dire della Grecia, della Turchia, ma le cose non stanno così, non è un epitaffio questo, solo la dimostrazione di un grande uomo, che torna nel periodo più buio della storia di Caserta, per provare a dare una mano a quella gente che oramai era diventata la sua famiglia, che faceva la fila dal barbiere per avere quel cubo di capelli perfettamente dritto in testa, le sue catenine al collo, e tutto il resto.

Arriverà, nonostante partite da ricordare pur con ginocchia malridotte, la retrocessione in quel 94' per Caserta, che poi fallirà di lì a poco, ma il pensiero rimarrà legato al campione americano, anche quando l'eclissi della sua carriera lo porta a fronteggiare un avversario ben più duro dei McAdoo o Bryant di turno. Armi, droga, la legge fa il suo corso, gli affari non gli vanno molto bene e la solitudine fa il suo corso: del resto lo stesso Tolkien, nel libro che ha come titolo il suo soprannome, parla semplice di come "Sempre, dopo una disfatta ed una tregua, l'Ombra si trasforma e s'ingigantisce nuovamente". 

Non c'è ritorno, non ci sono altre possibilità, ma il caso non esiste, a volte ci mette lo zampino. Quella con Reggio Emilia di settimana scorsa appariva come una vittoria come le altre, poi vai a guardare i dettagli e la lacrima scorre puntuale sul viso: Diawara, arrivato anche lui senza troppe presentazioni e apparenze incoraggianti, va in fade segnando un canestro dalla media, che vale il match. Il tiro lo ricorda tanto, ma il fatto è che quel parquet è proprio lo stesso di quelle scarpe da ginnastica, che Diawara indossi il #14, il suo numero, che quel fade le mani del pianista lo avrebbero messo, puntualmente, come in gara 5 contro la Philips.

R.I.P. Charles, Goodbye!!!