Kobe Bryant e il ricordo dell'Olimpia Milano, di cui era stato partner

Condividiamo il ricordo della società biancorossa sul leggendario giocatore dei Lakers, da sempre legato al nostro paese. E, brevemente, anche a Milano.
27.01.2020 16:00 di Ennio Terrasi Borghesan Twitter:    vedi letture
Fonte: Olimpia Milano
Kobe Bryant e il ricordo dell'Olimpia Milano, di cui era stato partner

L’Olimpia è profondamente addolorata per l’improvvisa scomparsa del Grande Kobe Bryant e della figlia Gianna Maria Onore e si unisce al tremendo dolore della famiglia. Kobe è stato proprietario di minoranza del nostro club durante la stagione 1999/00 quando la società era gestita da Pasquale Caputo e dal padre Joe Bryant. Kobe aveva 41 anni, lascia i genitori, due sorelle, la moglie Vanessa e tre figlie.

Certe notizie fanno male, ricollocano tutto in prospettiva. Kobe Bryant è scomparso, assieme ad altre otto persone (non vanno dimenticate neppure loro) inclusa la figlia 13enne, nell’area metropolitana di Los Angeles in seguito ad un incidente aereo che ha coinvolto il suo elicottero. Il gruppo Olimpia era appena arrivato all’aeroporto di Ronchi de’ Legionari per rientrare a Milano dalla trasferta di Trieste. Era un momento felice, perché la squadra aveva giocato bene e vinto la sua partita. Quando si è sparsa la notizia, è caduto il gelo. Qualcuno ha giocato contro Kobe Bryant come Luis Scola e Sergio Rodriguez, Ettore Messina e Tom Bialaszewski l’hanno allenato, ma Kobe per questa generazione di giocatori è un idolo, un modello, quasi un compagno di viaggio. In quel momento, la notizia era un’esclusiva di TMZ, un sito di grande richiamo, ma non trovava supporto nelle istituzioni mediatiche, il New York Times, ESPN, il Washington Post e neppure il Los Angeles Times. La speranza di una “fake news” in un mondo che vive anche di equivoci e disinformazione purtroppo è durata solo qualche minuto. E ha lasciato tutti ammutoliti, senza parole.

La sera prima Kobe Bryant aveva lasciato a LeBron James il terzo posto di sempre tra i realizzatori NBA. I due si erano scambiati messaggi di ammirazione e affetto nel modo più moderno che esista, attraversi i loro social media. Meglio Kobe o meglio LeBron? Discussioni tipiche del mondo del basket, che nel giro di poche ore hanno smarrito qualunque tipo di significato. Non c’era più nulla di serio di cui discutere. Non ha importanza capire se le nove Finali di LeBron, di cui otto consecutive, valgano più o meno dei cinque titoli di Kobe, tre assieme a Shaquille O’Neal. Non ha importanza, non ha senso. Non lo ha più. Per tutto il mondo del basket è solo il momento di piangere. La scomparsa di Gianna assieme a lui rende tutto ancora molto più drammatico.

Kobe aveva vissuto e cominciato a giocare a basket in Italia, al seguito del padre Joe che era venuto a giocare a Rieti, poi era stato a Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia, sette anni cruciali durante i quali Kobe aveva imparato a fare canestro e appreso l’italiano, una lingua che non avrebbe più dimenticato. Era bambino quando all’intervallo delle partite di Joe intratteneva il pubblico con i suoi tiri, i palleggi, i crossover che denunciavano una straordinaria precocità agonistica. Kobe sarebbe tornato in America con la famiglia a Philadelphia, dove avrebbe appreso la parte di basket che coltivano in America, il basket di strada, l’uno contro uno. A Lower Merion High School, situata in un sobborgo di Philadelphia, King of Prussia, sarebbe diventato così bravo da diventare nel 1996 la prima guardia a passare direttamente dal liceo alla NBA, scelto al numero 13 dai Lakers via Charlotte. E ai Lakers è rimasto tutta la vita, vincendo appunto cinque titoli, giocando sette finali, vincendo due titoli di MVP della finale, segnando 81 punti in una partita contro i Toronto Raptors e 60 nella gara conclusiva della sua carriera, quando disse “Mamba Out” e lanciò via il microfono, imitato in seguito da Barack Obama nel suo ultimo discorso da Presidente.

Riposa in pace Campione, accanto a Gianna.