Intervista a Riccardo Fois, assistant coach a Gonzaga tra Final Four e scelte di vita

Il video assistant coach di Gonzaga ci parla in esclusiva dell'ultima stagione, la sua squadra e perchè il college è un'esperienza di vita.
09.04.2015 13:15 di  Simone Mazzola  Twitter:    vedi letture
Intervista a Riccardo Fois, assistant coach a Gonzaga tra Final Four e scelte di vita
© foto di Facebook

Dopo la vittoria del torneo NCAA da parte di Duke in finale contro Wisconsin, Basketissimo ha analizzato la stagione con Riccardo (Rick) Fois video assistant coach dei Gonzaga Bulldogs che ci parla a cuore aperto di come sia arrivato nel mondo NCAA e del perchè sempre più giovani europei potrebbero giocarsi la carta del college americano.

 

- Cosa ne pensi di queste Final Four e in particolare dei Blue Devils che hanno interrotto il vostro sogno, vincendo poi il titolo?
Duke è la squadra che ha meritato di più per come ha giocato in questo mese di marzo, trovando tanti protagonisti come Winslow, Cook e Allen che sono saliti di livello per supplire a un Okafor piuttosto sottotono. Nonostante una rotazione a sette-otto giocatori hanno sempre trovato qualcuno in grado di mettere il tiro importante. Detto ciò, onestamente, non mi aspettavo vincessero, ma hanno vinto contro di noi, poi hanno dominato Michigan State e con Wisconsin hanno cambiato su tutti i blocchi disinnescando l’attacco dei Badgers. La presenza di Winslow è stata la chiave di tutto, perchè è stato in grado di marcare ogni esterno avversario, dandogli poi molti problemi nella metà campo offensiva.

- Wisconsin sembrava la squadra del destino e sul +9 nel secondo tempo aveva quasi completato l'impresa. Cosa gli è mancato?
In una partita NCAA davanti a 75.000 persone anche i dettagli a cui normalmente non pensi fanno la differenza: da un tiro sbagliato a qualche fischio fifty-fifty (vedi sfondamento di Winslow), tutto incide. Loro sono stati super per tutto l’anno punendo sistematicamente chiunque cambiasse sui blocchi, mentre non ci sono riusciti contro Duke. Poi in queste partite si può anche ricondurre tutto a un tiro o una singola situazione. Ad esempio il tiro che Dekker ha realizzato contro Kentucky e che non è mai riuscito a segnare in finale.


- Per quanto riguarda la tua squadra credi che ci sia materiale da NBA e che possiate continuare questo trend positivo anche l’anno prossimo?
Abbiamo la fortuna di essere una piccola oasi fuori dai grandi mercati e a noi piace reclutare internazionali che crescano senza pressioni. Dovremmo essere in grado di rimanere nelle prime dieci squadre d’America perché terremo tutti i nostri lunghi e abbiamo reparto guardie che potrebbe tranquillamente essere tra i primi dieci in assoluto. Per quanto riguarda giocatori pronti per l’NBA, Pangos potrebbe anche non essere draftato perché ha capacità atletiche particolari, ma porterà comunque a casa un contratto perché è un tiratore affidabile, un gran lavoratore sempre a disposizione della squadra e un ragazzo d’oro. Il prossimo anno credo che Sabonis possa ambire a una lottery pick, mentre Karnowski e Wiltjer, se ripeteranno una buona stagione, potranno andare tranquillamente tra il primo e il secondo giro.

 

- Parlando di te, come sei arrivato a fare l'assistente in una squadra di alto livello NCAA e qual è il tuo ruolo nello staff?
La storia è molto bella perché ero alle Final Four di Dallas come assistente di Pepperdine e ho conosciuto l’associated coach di Gonzaga Tommy Loyd. Abbiamo cominciato a parlare tra una birra e l’altra, poi ci siamo visti in un altro paio di occasioni e abbiamo stretto un legame di amicizia. Io per tutta estate ho fatto i colloqui con i Cleveland Cavs che però all’ultimo hanno scelto un altro. In quel momento lui mi ha invitato a Gonzaga e per me è stata la svolta perché sono molto contento. Anche più che stare a Cleveland. Il mio ruolo è l'assistant video coordinator e mi dispiace spezzare qualche cuore, ma questo non è il ruolo di Adam Morrison come si dice, perché lui sostanzialmente viene solo in trasferta. Alla fine faccio tutto ciò che c’è da fare, perché mischiamo player development, analytics, video e lavorando a stretto contatto con Tommy Lloyd lo ragguaglio sui giocatori internazionali da seguire.

- Per quanto riguarda i giovani europei che vogliono progredire e migliorare il loro gioco, cosa consiglieresti: rimanere in Europa o provare una situazione in NCAA?
Io credo che per un giovane italiano o europeo venire in un college sia una splendida esperienza, perché la vita che si conduce è quella dei film e in un ambiente di questo tipo si consegue una laurea. Dal punto di vista cestistico in Europa quando hai 18-22 anni e sei un talento devi essere lo sparring partner dei veterani, perché sono pochi gli Hezonja o i Saric che hanno la squadra in mano, mentre qui in quel lasso di tempo sei protagonista e artefice del destino tuo e della squadra. E’ un processo di crescita e responsabilizzazione che va al doppio della velocità, anche se bisogna essere intelligenti nel capire dove andare per rendere al meglio. Ad esempio Della Valle, che conosco bene, pur essendo stato a Ohio State, se dovesse scegliere a posteriori ora dove andare ti direbbe Gonzaga perché là ha fatto fatica a esprimersi. L’esempio per noi è Sabonis che prima di scegliere ha chiesto a Pocius. Lui giocava dieci minuti a Duke non da protagonista e le sue parole  lo hanno facilitato nella scelta di venire qui.

 

- Un evento organizzato come le Final Four non potrebbe essere d’esempio anche per noi su come “vendere il prodotto”? Pensi sia una questione solo di soldi o c’è dell’altro?
La differenza sostanziale è che qui si lavora tutti assieme in un'unica direzione. Ogni hotel ospita una squadra diversa assieme ai propri tifosi in un ambiente tranquillo che ti fa sentire speciale. L’organizzazione crea qualcosa da fare per tutti: convention di allenatori, clinic, venditori di oggetti per la pallacanestro, eventi per i fans ecc. Nei giorni scorsi c’era un concerto di Rihanna, uno country e tanti altri, tutti gratis. La tv fa i servizi in mezzo alla strada con i fans. Quando metti tutto assieme l’evento diventa un qualcosa di più grande delle squadre che vi partecipano.
E non ne faccio una questione di soldi, ma di volontà, perché se fai un buon prodotto in HD e un evento bello da vedere come Real Madrid-Milano il giovedì sera su italia uno con i telecronisti giusti che ti raccontano le storie dei giocatori, la gente apprezza e guarda con trasporto. In Italia non ci sono storie sui giocatori e sull’ambiente mentre noi abbiamo 90 minuti obbligatori di media da fare ogni giorno.
Qui nessuno critica gli arbitri e il sistema è così. Il massimo disappunto di Bo Ryan è stato solo qualche commento, ma se l’arbitro è corrotto è tutto il sistema che ci perde e qui il sistema non deve perderci.