Il regolamento, le violazioni ed i furbetti: la Nba e le leggi non scritte

Tra Fischi/non fischi, playoff e regular season con criteri diversi, servirebbe un po' di uniformità ad un sistema con tante falle
29.03.2017 18:44 di  Domenico Landolfo   vedi letture
Il regolamento, le violazioni ed i furbetti: la Nba e le leggi non scritte

Quando si parla di Nba spesso, e non a torto, si tende a definire la segmentazione del campionato in ciò che succede in regular season e poi nei playoff. Nulla di più giusto o ragionevole, eppure il discorso viene sempre improntato sulla voglia, sull’intensità dei giocatori che si rapporta all’importanza della gara che si sta giocando. È ovvio che nei match da win or go home c’è qualcosa che scatta dentro che cambia radicalmente la visione del gioco, eppure a voler essere onesti è qualcos’altro a cambiare, ossia il metro arbitrale.

Guardicchiando qualche partita di quelle che magari vanno in prima serata, è chiaro che durante la stagione regolare la “protezione” dello spettacolo deve assicurata, che già alcuni coach con le loro scelte di rotazione forzata delle superstar hanno minato, ma a maggior ragione si evince dai fischi arbitrali che creano situazioni di gioco atipiche, fuori dal contesto, in cui il discrimine tra violazione vera o meno del regolamento è davvero molto sottile.

La Fiba e la Nba stanno pensando di equiparare i regolamenti reciprocamente al fine di garantire uniformità di pallacanestro a qualsiasi latitudine, sia per quanto riguarda le cosiddette “infrazioni di passi” sia per i “flagrant foul” sia per determinate situazioni di gioco che generano conseguenze difformi per azioni sostanzialmente identiche. Ciò però non va nel senso di gioco creato da James Naismith, senza alcun dubbio alcuno: non che le regole europee siano “migliori” ma il sistema americano che andrebbe a soverchiare il tutto non è una soluzione plausibile.

Westbrook che cammina fino a centrocampo e si lamenta dei passi che l’arbitro gli fischia, Durant, James, Wade e Antetokoumpo che arrivano al ferro oltre che con il mezzo fisico e atletico che madre natura gli ha concesso, anche e soprattutto con un numero imprecisato di passi, su quello che dovrebbe essere un terzo tempo, i tecnici sulla zona prolungata sono solo un esempio che recentemente ha raggiunto dei limiti davvero intollerabili. James Harden sta costruendo i numeri della stagione e specie un record sui tiri liberi su una tecnica “illegale” di procacciarseli: aggrappandosi al suo avversario, mettendo le sue braccia sotto e provando un tiro o qualcosa di simile, che produce giro in lunetta laddove dovrebbe esserci uno sfondo.

Cosa succederà se comportamenti del genere verranno ripetuti anche in sede playoff, magari a decidere una gara punto a punto? Riflessione: la tutela delle star è uno degli endorsment legati al mondo del business sportivo americano, ed un personaggio come Harden ha un brand che sposta parecchi dollari. Non volendo andare contro il “Barba” ma volendo parlare della questione in maniera generale, se non c’è uniformità nemmeno in un singolo campionato, o per meglio dire nemmeno tra due giocatori della stessa lega, appiattire i regolamenti appare quanto mai assurdo.

Quando un giocatore fa delle cose che prima non si sono mai viste, di furbizia o di talento, occorre riflettere. Le magie che ha introdotte in tema di “wawe”, “esitation” e simili da Pete Maravich ai suoi inizi erano giudicate fuori dal regolamento e sanzionate, ma dopo attenta visione di quei filmati se ne è riconosciuta la legittimità. A contrario, visionare tali comportamenti, vedere che di fatto sono infrazioni, deve essere la prerogativa in un sistema che si affida ad un istant replay per i flagrant (fatto meritevole) ma non per risolvere un dubbio. La moviola sul merito di una scelta è lontana dai campi da basket, ma il merito a bocce ferme è doveroso, per prevenire per il futuro, e specie per i playoff, dove l’intensità dei contatti aumenta e la scelta tra un fischio o meno può essere decisiva.