The Last Dance: la recensione degli ultimi due episodi

Un mese dopo, siamo giunti al gran finale del documentario sui Bulls e Michael Jordan: ecco le nostre impressioni sugli episodi 9 e 10
18.05.2020 19:01 di Paolo Terrasi Twitter:    vedi letture
The Last Dance: la recensione degli ultimi due episodi

Il penultimo episodio si apre con la prova più dura affrontata dai Bulls di Jordan, secondo MJ stesso (alla pari dei Pistons di inizio anni 90): i Pacers nelle Eastern Conference Finals nel 1998. Mentre scopriamo più della squadra dell'Indiana, guidata da Larry Bird in panchina e Reggie Miller Jalen Rose in campo (con il numero 31 amico-nemico di Jordan, noto per essere molto aggressivo in campo con lui). Mentre la serie continua in equilibrio assoluto, l'ultimo flashback ci porta all'anno precedente: il primo atto di finale contro i Jazz, nel 1997.
Le motivazioni di Jordan, stavolta, sono due: le provocazioni di Bryon Russell mentre MJ era ritirato, ed il trofeo di MVP dato a Karl Malone. La serie è comunque combattuta, e sul 2-2, le Finals vengono colpite da due episodi "storici": in gara 5, la famosa Flu Game, la gara giocata da un Jordan colpito da una sospetta intossicazione alimentare dovuta ad una Pizza di dubbia origine, ed in Gara 6, il tiro di Steve Kerr, che ricorda quello di Paxson. Ci viene raccontata nel dettaglio la forte storia di Kerr e di suo padre, ucciso in Libano. Torniamo quindi per l'ultima volta nel 1998, dove ci attende una tiratissima Gara 7 contro gli Indiana Pacers: la vittoria venne dedicata a Gus Lett, storico capo della Security di Jordan ed alle prese con la chemioterapia.

L'ultimo episodio è interamente dedicato all'ultima parte di The Last Dance: le Finali del 1998, con la rivincita contro Utah. La serie è arcinota, e ne ripercorriamo con nuovi punti di vista momenti già noti (come ad esempio la "fuga" e la punizione di Dennis Rodman, che vediamo come riesce ad evitare i giornalisti nella pancia dello stadio). L'epilogo, dopo il tiro a sei secondi dalla fine, l'ultimo della carriera di Jordan con Chicago, che blinda il sesto titolo, verte su due punti: l'impatto di Jordan sul mondo del basket, aldilà dei semplici risultati, e la possibilità, mai concretizzata, di un assalto per il settimo titolo. Per Reinsdorf fu impossibile, vista l'impossibilità economica di mantenere tutti (specie Pippen, alla ricerca di un accordo più lucrativo dopo tanti anni sottopagato), mentre per Jordan si sarebbe potuti rimanere un altro anno. Chi ha ragione?