Cuore, coraggio, attaccamento. In Olimpia il 18 è Arthur Kenney

Il numero 18 è stato il primo ritirato nella storia dell’Olimpia. È stato il numero di Arthur Kenney, simbolo della storia biancorossa.
04.05.2020 12:00 di  Ennio Terrasi Borghesan  Twitter:    vedi letture
Fonte: Olimpia Milano
Cuore, coraggio, attaccamento. In Olimpia il 18 è Arthur Kenney

Nel maggio del 2013, Arthur Kenney incontrò Nicolò Melli. In quel momento era lui, Melli, il numero 18 dell’Olimpia. Ma in quei giorni, la società aveva deciso di ritirare quel numero in onore del grande campione di New York, che era simbolo dello spirito di competitività, coraggio, attaccamento alla maglia, impegno che il club ha sempre coltivato e sono parte integrante del proprio DNA. Kenney disse a Melli che avrebbe potuto indossare quel numero finché avesse voluto: era degno di quella maglia, rifletteva esattamente i valori promossi dall’Olimpia. Melli finì la stagione – poche partite – con il 18, poi al ritorno chiese di indossare il 9. Era stato il numero della mamma pallavolista di grande successo da giocatrice, quindi era scelta sentimentale molto forte, e al tempo stesso Melli non voleva sembrare presuntuoso. Non lo sarebbe stato, ma decise così. Da quel momento, nessuno ha più indossato o indosserà il 18.

Kenney arrivò al Simmenthal da Le Mans nel 1970. Era veloce, in forma fisica strepitosa, poteva correre tutto il giorno, era un duro e un vincente. Alla Power Memorial Academy di Manhattan vinse 71 partite consecutive e la sua squadra è stata proclamata come la migliore del secolo. Naturalmente, il merito è del centro Lewis Alcindor, meglio noto come Kareem Abdul-Jabbar, ma fu proprio Kenney a convincerlo ad andare a Power Memorial prendendo tutti i giorni la metropolitana che l’avrebbe portato da Nagle Avenue, dove abitava, fino a mid-town. E poi c’è un’altra storia bellissima: la striscia vincente di Power Memorial fu interrotta dalla DeMatha High School, ma successe quando Kenney era già all’università a Fairfield. “L’anno prima, quando c’ero ancora, giocammo sul loro campo e li battemmo”, ricorda con orgoglio. Prima di venire in Europa, ebbe quattro anni importanti a Fairfield con coach George Bisacca (che ha allenato la Virtus Bologna ed è apparso anche a Pesaro e Fabriano sempre in panchina) ottenendo risultati che il college gesuita che sorge a 75 chilometri circa da New York non ha più ripetuto. Kenney è nella Hall of Fame di Fairfield.

Arturo come l’avrebbero ribattezzato a Milano e come orgogliosamente si fa ancora chiamare dai tanti amici che ancora vanta in Italia, giocava a Le Mans nell’estate del 1970 quando l’Olimpia era alla ricerca di un “big man” per la sua squadra. Erano anni complicati perché in America non c’era più solo la NBA ma anche la ABA a rastrellare giocatori di buon livello all’uscita dal college. Sandro Gamba, la “longa manus” di Cesare Rubini, suggerì Kenney che in un torneo estivo la stagione precedente non era arretrato di un metro contro Jim Tillman, il primo giocatore di colore nella storia dell’Olimpia. L’episodio era rimasto stampato nella mente di Rubini. E in quella di Gamba. Anziché puntare su un talento dei college di seconda fascia com’era in uso all’epoca il Simmenthal chiamò Kenney. Serviva un duro per opporsi all’astro nascente di Varese, l’allora ventenne Dino Meneghin.

Nel 1970, primo anno di Kenney a Milano, la gara di Varese era programmata per il 26 dicembre. “Ci allenavamo in Secondaria al Lido – ricorda Kenney – Dopo un rimbalzo caddi male con la caviglia sinistra. Distorsione. Il fisioterapista Angelo Cattaneo mi mise a letto con il ghiaccio sulla caviglia per ridurre il gonfiore. Mangiavo pastiglie di ananase come fossero caramelle. La sera di Natale il mio compagno Giorgio Giomo mi portò alla cena di squadra. E il giorno dopo zoppicai sul pullman che ci portò a Varese. Cattaneo mi fasciò la caviglia che più stretta non si poteva fasciare. Ma mi dava fastidio e gli chiesi una puntura di antidolorifico attraverso le bende. Strappai tutto e andai a giocare contro Meneghin”.

La leggenda di Kenney, guerriero indomito, che a Belgrado era salito in tribuna per farsi giustizia da solo contro Moka Slavnic che aveva tirato un calcio a Rubini nacque allora. Varese vinse quella partita ma nel girone di ritorno, il Simmenthal si impose 73-72 con due liberi allo scadere di Kenney. L’Olimpia vinse la partita e si guadagnò lo spareggio di Roma, il primo di tre consecutivi contro l’Ignis. Vinse Varese 65-57. Il Simmenthal dovette consolarsi con la Coppa delle Coppe, contro lo Spartak Leningrado, il secondo trofeo internazionale della sua storia.

Nel 1972, l’Olimpia ottenne il diritto di giocare un secondo spareggio vincendo al Palalido la gara di ritorno contro l’Ignis. La partita finì con la storica rissa tra Kenney e Meneghin: i due guerrieri potevano picchiarsi, darsele di santa ragione ma si rispettavano e da quelle battaglie nacque un’amicizia che dura tuttora. Lo spareggio si disputò ancora a Roma, il 4 aprile 1972. Furono decisivi Brumatti nel guidare la rimonta da meno sette e Bariviera nel finale, inclusi due tiri liberi determinanti. Era un basket diverso in cui i cambi erano rari e gli allenatori forzavano l’utilizzo delle star anche quando erano carichi di falli. Rubini si trovò a giocare gli ultimi dieci minuti di partita senza Kenney, fuori per falli, e un minuto dopo perse anche Iellini. Furono Brumatti, Bariviera e Masini a tenere viva la squadra e portarla al traguardo storico che completò una memorabile tripletta stagionale, con Coppa Italia e Coppa delle Coppe, conquistata sul neutro di Salonicco perché la maxirissa con la Stella Rossa a Belgrado – la partita dell’irruzione in tribuna di Kenney per proteggere Rubini – rese impossibile tornare a giocare nell’allora Jugoslavia. Così venne cancellato il doppio confronto previsto dai regolamenti.

Il terzo spareggio, nel 1973, fu vinto da Varese 74-70. Era il primo anno di Bob Morse in Italia: segnò 31 punti vanificando le prove di Kenney e Bariviera. Quella partita, l’ultima della sua carriera milanese, lo divora ancora oggi, per i falli, per un disguido nel viaggio che fece arrivare la squadra in ritardo seminando nervosismo. Questa è la storia del 18, che successivamente – prima di Melli – è stato indossato da Renzo Bariviera nella sua seconda esperienza all’Olimpia quando vinse lo scudetto del 1985. Bariviera è un grande amico di Kenney: aveva indossato il 9 a inizio carriera, ma scelse il 18 al ritorno a Milano in onore del suo amico.