Olimpia, la storia di Shavon Shields: lo sport nel sangue di famiglia

Il profilo del nuovo giocatore biancorosso, figlio di una stella della NFL, fresco campione di Spagna e già visto in Italia a Trento
12.07.2020 14:56 di  Ennio Terrasi Borghesan  Twitter:    vedi letture
Fonte: Olimpia Milano
Olimpia, la storia di Shavon Shields: lo sport nel sangue di famiglia

Shavon Shields ha giocato due finali scudetto in Italia e nel 2018 sarebbe stato l’MVP della serie se la sua squadra l’avesse vinta. Invece vinse l’Olimpia e il meritato MVP fu Andrew Goudelock, ma questo non cambia di una virgola il valore di Shields in quella memorabile stagione (segnò 31 punti in gara 5 inclusa la tripla del sorpasso che poi venne invalidata dai due tiri liberi successivi di Curtis Jerrells e dalla stoppata salvapartita di Goudelock su Dominique Sutton). Adesso, Shavon è un giocatore di Milano, ma tra quella finale e il suo arrivo, ci sono state anche due stagioni importanti a Vitoria con il debutto in EuroLeague e il titolo iberico vinto nella “Bolla” di Valencia. Ma la sua storia è molto più profonda di così e vale la pena di essere raccontata.

Shavon è cresciuto a Olathe, in Kansas, ed è il figlio di Will Shields, 12 volte incluso nel Pro-Bowl, una sorta di All-Star Game della NFL di football americano che ha speso tutta la sua carriera nei Kansas City Chiefs, ha vinto il premio come miglior uomo di linea al college (Nebraska), ha vinto due volte il titolo della Big Eight ed è un Hall-of-Famer dal 2015. Quando venne introdotto nella Hall of Fame di Canton, Ohio, Shavon era in prima fila ad ascoltarlo. Orgoglioso. Non solo di quella che aveva fatto sul campo, ma anche fuori. Will Shields infatti è il fondatore della “Will to Succeed Foundation”, che si occupa di assistere finanziariamente chi non può permettersi di studiare. Shavon d’estate ha spesso lavorato nella fondazione del padre.

Ma i geni giusti non sono arrivati solo sotto l’aspetto atletico, anche su quello accademico. Shavon ha frequentato la stessa università del padre, Nebraska (“E’ stata una sua decisione, a me interessava che andasse in una buona scuola, certo che sono stato felice quando ha deciso di frequentare la mia alma mater”, ha detto Will Shields al “Big Ten Network”), e si è laureato in biologia con voti altissimi che gli hanno permesso di conseguire il titolo di Academic All-America, riservato ai migliori atleti che sono anche studenti di primo piano e per ben due anni di fila.

Shields ha doppio passaporto, americano e danese: la madre Senia infatti si trasferì negli Stati Uniti per studiare e frequentò la stessa università dove conobbe Will. “Ogni anno d’estate con tutta la famiglia venivamo in Europa, non solo in Danimarca. Per me è stata una fortuna, perché culturalmente quando mi sono trasferito per giocare non ho fatto nessuna fatica”, racconta. A dispetto della carriera del padre, Shavon ha sempre preferito il basket. Ha provato con il football, il suo ruolo preferito era wide-receiver, ma non era un vero appassionato e smise dopo due anni. “Mio padre era una guardia, giocava sulla linea offensiva per creare spazi. Non faceva per me”, ha raccontato. Il basket invece c’è sempre stato. “Non avevo tante offerte per giocare a basket, in più Nebraska ha sempre fatto parte della storia della mia famiglia, scegliere è stato facile”, dice. Con gli Huskers, ha avuto una carriera strepitosa, finendo come quinto realizzatore di sempre dell’ateneo e secondo per presenze in quintetto, 112. Da senior, ebbe 16.4 punti per gara con 5.1 rimbalzi.

Eppure, rischiò di finire tutto il 6 febbraio 2016 quando Nebraska ricevette la visita di Rutgers. Proprio nella stagione da senior di Shields, quella decisiva per alimentare i suoi propositi da professionista. Nel secondo tempo, sul 72-55 Nebraska, 7:49 da giocare. Nel tentativo di eseguire una stoppata in ritardo, Shields si è trovato in aria sbilanciato, così si è voltato ed è caduto pesantemente a terra da un’altezza considerevole. “Pensavo schizzasse in piedi come fa sempre, solo che non lo fece”, fu il commento della madre. Fu un momento spaventoso, in un’arena improvvisamente diventata silenziosa. Shields venne portato via in barella, con il collo bloccato. Ma fortunatamente, l’infortunio – per quanto raccapricciante – si rivelò meno grave del previsto. Shields saltò una porzione importante della stagione, ma l’1 marzo tornò in campo da eroe contro Purdue, sullo stesso parquet di casa. Era quella che al college è chiamata “Senior Night”, ovvero l’ultima partita casalinga dei giocatori che finiscono il periodo di eleggibilità. “Ero felice perché potevo finire la mia carriera al college in campo e non in panchina a guardare i compagni”, spiegò. La tradizione vuole che i senior vadano in campo assieme ai genitori e per Shields l’evento ebbe valore doppio. Con lui, il fratello, la sorella e la mamma Senia c’era anche Will Shields in persona, la leggenda dei Cornhuskers di football. E ancora: Tim Miles, il suo allenatore, gli consegnò la teca con la maglia numero 31 ritirata per sempre. “Shavon è venuto qui all’ombra della leggenda del padre – ha spiegato il coach – ma si è costruito una storia personale”.

Nel 2016, Shields è sbarcato in Europa per giocare prima a Francoforte (“Giocavo da 4 e quindi non dovevo prendere tante decisioni, era più una questione di esecuzione, non è stato duro”), poi due anni a Trento (14.3 punti a partita nel 2017/18 con 41 presenze), “dove sono salito di livello, ho giocato l’Eurocup, con compagni di spessore e questo mi ha permesso di migliorare”. A Trento ha giocato due finali in due anni, “nella prima c’è stato l’infortunio di Dominique Sutton in gara 2, era il nostro giocatore più influente, senza di quello forse ce l’avremmo fatta; nel secondo anno è stata decisiva gara 5, ma due finali per Trento sono un fatto importante e quello nessuno può negarlo”. Gli ultimi due anni sono stati a Vitoria (59 presenze in EuroLeague, 569 punti, 35.1% da tre, 85.7% dalla lunetta; 11.7 punti e 4.2 rimbalzi di media nella lega spagnola nella stagione 2019/20) e il titolo spagnolo vinto subito prima di venire a Milano. Da anni è anche la stella della Nazionale danese anche se non sempre ha potuto vestirne la maglia nei tornei di qualificazione. L’ultima volta che l’ha fatto nell’estate del 2018 ha segnato 26 punti con 33 di valutazione guidando la squadra al successo sulla Bielorussia.