La competitività ritrovata dell’All Star Game

A Los Angeles è andato in scena un All-Star-Game come non si vedeva da tempo: difese, a volte serrate, punteggi tirati, ed anche dei falli. Non si segnavano così pochi punti dal 2013, ed addirittura sono stati 81 in meno rispetto allo scorso anno.

Abbiamo assistito ad una partita mai chiusa, sempre interessante, con le solite giocate spettacolari ma anche con giocate difensive degne di nota: dopo vari Alley-hoop interrotti, stoppate, il climax è stato raggiunto col possesso difensivo finale da parte del team Lebron, dove James e Durant hanno ingabbiato completamente Curry e DeRozan, con una difesa da playoff.

Il contesto rimane sempre spensierato, con la stessa stella di Golden State colta addirittura a mangiare platealmente dei popcorn in panchina; c’è voglia di dare spettacolo, divertirsi (o, per Jimmy Butler, che per sua espressa ed insolita richiesta non ha giocato, riposarsi), ma anche di vincere. 

Questo cambiamento è dovuto principalmente al nuovo format: le squadre scelte dai due capitani hanno regalato ritrovate alchimie (Westbrook e Durant di nuovo compagni di giocate) e rinnovate rivalità (sempre tra Westbrook ed Embiid, che si sono aspramente beccati durante la regular season), ma hanno anche responsabilizzato le squadre stesse. Lebron, aldilà della prestazione spettacolare, si è immedesimato nel ruolo, e si è comportato quasi come se stesse dettando il ritmo partita alla Quicken Loans Arena. Era stato pure istituito un premio in denaro per i vincitori (centomila a testa, puramente simbolico considerando i salari delle stelle), che sicuramente a partecipato nello spronare di più i giocatori. L’appuntamento è tra un anno, a Charlotte, con capitani diversi (Curry e James non possono essere “rieletti”) ma probabilmente con lo stesso spirito.