Reggio Emilia, la 'luce' salvezza in un anno con tanti errori. Ed ora?

Il bilancio sulla stagione difficile della Grissin Bon, con uno sguardo al prossimo futuro del club emiliano dopo la salvezza in questa stagione
16.05.2019 15:55 di  Luca Sanibondi   vedi letture
Reggio Emilia, la 'luce' salvezza in un anno con tanti errori. Ed ora?
© foto di Manuela Pellegrini

Tira un sospiro di sollievo in extremis la Reggiana, che chiude con un mezzo sorriso il suo “annus horribilis”, il peggiore del suo recente passato, piazzando proprio nel finale le zampata decisive che le hanno consentito quanto meno di condurre in porto una dignitosa salvezza conquistata sul campo ancor prima che la classifica venisse stravolta dal Consiglio Federale. Dopo i fasti delle due finali scudetto, i trofei alzati al cielo ed i riflettori accesi sulla storica cavalcata in Eurocup è arrivata l’annata in cui si è sbagliato praticamente tutte le scelte e le scommesse fatte.

L’eredità lasciata dal triumvirato degli anni d’oro (Dalla Salda – Menetti – Frosini) era un testimone difficile da prendere in mano. Ma la scorsa estate, quando il patron Landi affidò il timone dirigenziale al neo DG Barozzi (con la spalla di Frosini) e quello tecnico al debuttante Cagnardi, non pensava si potesse arrivare a scherzare così tanto col fuoco e a rischiare fino all’ultimo addirittura la retrocessione. La mancanza al comando di figure esperte, con spiccata personalità ed una visione strategico-progettuale è stato il peccato originale che ha dato il via alla stagione.

Si è poi scommesso e portato avanti oltre modo la scelta forzata del format del 5+5, che presuppone però un’ossatura di italiani di spessore. Purtroppo il nuovo ciclo tricolore di Reggio si è dimostrato ben presto di stoffa diversa rispetto a quella dei predecessori (nel lustro prima hanno calcato il parquet di via Guasco i vari Cinciarini, Polonara, Aradori e Della Valle). Il nucleo azzurro attuale si è rivelato fragile e meno talentuoso, obbligando la società a ritornare sui suoi passi proprio quando il premio italiani era oramai in cassaforte, nel tentativo di salvare la pelle dando una spina dorsale ad una compagine alla deriva.

Neanche il capitolo stranieri ha riservato scelte azzeccate. Alle prime difficoltà si è deciso di sacrificare il capocannoniere del torneo Ledo, cavallo pazzo ma con un talento cristallino che sgorgava dai polpastrelli, perché ritenuto troppo accentratore. Scelta rinnegata poi più avanti con l’acquisto di un suo clone quale Johnson-Odom. Si è scommesso sul contratto a gettone concesso alla stella KC Rivers, che però ha fatto ben presto le valigie non appena recuperato lo smalto agonistico dei tempi migliori. Sotto le plance si è puntato su pivot che per via degli infortuni il parquet lo hanno visto poco (Elonu) o addirittura solo da bordo campo (Poirier). Si è titubato a oltranza per colmare il buco in regia con un play di impatto arrivato solo verso carnevale. Il vero crocevia della stagione è stata tuttavia la transazione contrattuale col cecchino Butterfield, l’unico acquisto veramente centrato dell’anno che ha lasciato un vuoto incolmabile nell’architettura del roster.

Ne è uscita un’annata senza né capo nè coda, in cui sono stati esauriti tutti i tesseramenti disponibili nell’imbastire ben quattro squadre, e vissuta di rincorsa alla ricerca di un’identità tecnica ed una chimica di squadra mai in realtà trovata. Si è rispolverato un coach navigato come Pillastrini, chiamato ad una missione complicata anche se nei fatti poi agevolata dal ruolino di marcia estremamente negativo dei contender, che ha tuttavia avuto il merito di piazzare due blitz dal peso specifico assoluto sui campi di Pistoia e Pesaro legittimando così la salvezza. Ora si è chiuso un capitolo e si spera di aprirne un altro con prospettive più rosee, anche se il futuro è tutto da decifrare e soprattutto da programmare.