I Clippers tra un super CP3 e la sfortuna che manda ko Blake Griffin

Dopo gara 3 che rimette il fattore campo nelle mani della franchigia losangelina arriva il referto medico che toglie Blake Griffin dalle rotazioni di Doc Rivers
22.04.2017 20:30 di  Domenico Landolfo   vedi letture
I Clippers tra un super CP3 e la sfortuna che manda ko Blake Griffin

Che i Los Angeles Clippers siano un po’ i “losers” della città californiana in cui Lakers significa high style e cool era cosa assai nota: quando poi negli ultimi anni la caduta verticale dei gialloviola e la contestuale crescita della squadra di Doc Rivers, sembravano essere davvero cambiate le cose. Purtroppo, nonostante grandi roster e schiere di talento, è sempre mancato qualcosa, vuoi per serie contro avversari più esperti e forti, vuoi perché, nonostante tutto, la sfortuna non sembra aver mai lasciato la franchigia rossoblu, tra infortuni più vari.

Quest’anno sembrava non essere tanto l’anno buono, quanto invece quello in cui provare a cementare il gruppo, che negli ultimi anni si è sedimentato. Quando al termine di gara 1 il beffardo buzzer beater mandato a bersaglio da Joe Johnson aveva regalato ai Jazz gara 1, sembrava l’ennesimo film dal finale già scritto. Nel momento del bisogno, invece, è uscito alla grandissima Chris Paul, che ha dimostrato, specie in gara 3, non solo di essere il sublime passatore che è sempre stato, ma anche uno capace di prendere sulle spalle la squadra, trascinarla dal punto di vista offensivo.

A fine gara scrivere 34 con 10 assist e 7 rimbalzi, non sarà la tripla doppia di Westbrook e Lebron, ma è quello che serve alla sua squadra, tra split e giocate di intelligenza cestistica raffinata. Doc Rivers continua a cercare nel suo gruppo certezze, trovandole in un DeAndre Jordan concreto e preciso, nonché negli sprazzi di JJ Redick e di Crawford, che possono spaccare in due la gara con i tiri dal palleggio. Eppure manca qualcosa. Manca Blake Griffin.

Blake Griffin è la perfetta icona dei Clippers, di quello che potrebbero essere e di quello che forse non saranno mai. Stava regalando ai suoi tifosi attimi di grande basket, dimostrandosi capace di poter giocare indifferentemente da 4 e da 5 e dando così al suo coach quella duttilità nel reparto lunghi che fu la chiave dei Celtics campioni. Eppure la sua serie, di altissimo profilo, si ferma al 18’ di gara 3, quando stava dominando in vernice. Infortunio al piede, ennesima stagione finita in anticipo. Un remake del film dell’anno scorso, quando in gara 4 della serie playoff di primo turno salutò la compagnia.

Stavolta il problema, diffuso tra piede e alluce, non è così serio come gli infortuni che a lungo gli hanno privato anni di carriera e pedigree Nba, eppure ancora una volta il talento uscito da Oklahoma è costretto ai box quando la squadra ha bisogno di lui. Di solito le negatività aiutano la crescita di una squadra, eppure il risultato di gara 3 è evidente: Paul predica una pallacanestro nel deserto, si ritroverà di qui in avanti non solo ma quasi, con altri che al posto suo potranno sì dare una mano, ma non spostare equilibri ed inerzie, che appaiono sempre e comunque nelle mani del #3.

Quando guardi però una “belva” negli occhi, dritta e decisa, devi sapere bene quale sarà la tua prossima mossa, perché potrebbe essere l’ultima. CP3 è quel giocatore che, per caratteristiche e metodi di gioco, più ricorda Isaiah Thomas, che portò i suoi Pistons all’anello in un contesto simile. Paul non ha ancora vinto nulla, ma dimostra ancora una volta di poter essere un leader di una squadra anche senza altre big star intorno a lui. Da adesso aumenteranno le sue responsabilità offensive e bisognerà stare attenti a cosa ci potrà riservare, perché nel bene o nel male, lui può tutto su quel parquet. Chissà che sia la volta buona per provare a superare il primo turno – ma occhio ai mormoni tosti in difesa e duri a morire, con Hayward che meriterebbe un pezzo a parte – e magari a sfidare quello Steph Curry, diametralmente opposto al #3 per caratteristiche e tecnica, che ci regalerebbe lo scontro tra due delle più forti guardie in circolazione.

Vale la pena concedersi, una volta tanto, un post scriptum per dimostrare che oltre il talento, Chris Paul è molto di più. Finisce gara 3, pubblico Jazz di mormoni che discretamente torna a casa, nessuna protesta o altro, ma il play di Los Angeles ha visto nella marea bianca un ragazzino con la #3 rossoblu indosso, che non ha smesso un secondo di sostenere – in trasferta – il suo beniamino e quindi di fatto la squadra ospite. Esce verso gli spogliatoi e lo cerca con lo sguardo, come per un assist sugli scarichi, lo indica lo fa avvicinare e gli regala la sua canotta di una serata magica, realizzando un piccolo sogno di un tifoso e dimostrando la grande umanità di questi eroi che sembrano ai nostri occhi extraterrestri di altra galassia.