Road to Rookie of the year - puntata 4: Il lungo cammino di Caleb Swanigan

Nella ricerca di quelli che sono i prodotti del nuovo Draft, la storia del pivot scelto alla 26 da Portland lascia davvero sorpresi
24.07.2017 21:02 di  Domenico Landolfo   vedi letture
Road to Rookie of the year - puntata 4: Il lungo cammino di Caleb Swanigan

Il draft non è una scienza esatta e la Summer League non sempre il banco di prova più attendibile, ma l'analisi di quelli che sono stati i prospetti che più attesi e che han confermato o smentito le previsioni può già essere fatta, sempre col beneficio d'inventario. La quarta tappa del nostro percorso della caccia al rookie of the year vede come protagonista un ragazzo scelto alla #26, Caleb Swanigan, che finisce a Portland, nel paradiso dei giocattoli dimenticati della città delle rose. Certe volte, però, i numeri di una Summer League chiusa oltre la doppia doppia di media, sono ben poca cosa rispetto a quello che la vita ha presentato a un ragazzo che, prima che sui parquet Nba, ha dovuto fronteggiare contro altri avversario della sua vita.

In una famiglia numerosa, con sei fratelli, una madre che non può provvedervi, senza fissa dimora, costretti spesso a stare la notte in ricoveri per i senzatetto, Caleb Swanigan aveva tutto quello che serviva per poter distruggere se stesso. Un esempio non certo brillante era quello di suo padre, con problemi con la legge ancor più che con uso abbondante di crack e cocaina. Dal tuo dna, però, non scappi neanche trasferendoti di città in città, neanche scappando da persone che possono star peggio, e se nel genoma paterno c’è la tendenza all’obesità, di sicuro la mela non cadrà troppo lontano dall’albero.

Un’alimentazione totalmente squilibrata, fatta di quello che gli americani chiamano “junk food” fa crescere in maniera smisurata il giovane Caleb, che arriva sui 160 kg alla High School, non compensati dall’elevata altezza, e tutti lo chiamano “Biggie” solo ed esclusivamente per un dettaglio. La sua mancanza di fissa dimora aveva acuito un problema genetico già in fase esplosiva, acuito di certo dall’aver cambiato 13 scuole in altrettanti anni di vita.

La svolta avviene quando la famiglia si trasferisce a Hosuton, dove suo fratello Carl jr, guardando “Biggie” capisce che al fratello servono certezze e stabilità, cosa che non potrà trovare finchè starà con sua madre, così chiama il suo coach Roosevelt Barnes, star atleta dell’università di Purdue, giocatore Nfl e anche precedente coach alla sua alma mater, che ora è diventato un agente sportivo, chiedendogli di adottare legalmente Caleb e di crescerlo come suo figlio. La cosa si verifica, con conseguenze a tratti surreali, altre comiche, ma la prima notte colpisce e non poco l’ex star di Purdue University: dice al ragazzo “Figliolo, domani mattina iniziamo un percorso, quindi sveglia presto e colazione e si inizia”. Inutile dire che la scena che avrebbe trovato al suo risveglio sarebbe stata assurda, con un intera scatola di cereali glassata vuotata dal ragazzo con più di mezzo gallone di latte, con la classica faccia innocente di chi gli avrebbe risposto: “Avevi detto tu di fare colazione”.

Barnes cambierà la vita di Caleb, che perderà progressivamente peso, 15 chili nei soli due anni a Purdue, arrivando, più o meno, a quelle che sono le cifre attuali, ossia di un’ala “fisicata” (per dirla con le parole di Jalen Rose post draft) di 203 cm per 117 kg, che comunque gli sono già valsi due stagioni da protagonista a Purdue, con la seconda chiusa a 18 punti e 12 rimbalzi di media per allacciata di scarpe, e due ori mondiali con le nazionali giovanili statunitensi under 17 e under 19. Con quel fisico tirare da tre punti e avere energia in difesa sono un qualcosa in più, che è già emerso in Summer League dove magari ha dovuto giocare più interno rispetto alle sue abitudini, ma sempre con sorriso sul viso, con la voglia di non arrendersi mai e di dimostrare qualcosa.

Essere chiamato alla #26 è spesso considerato un disprezzo e dal resto dalla sua storia di fiducia ed equilibrio ve ne è poco, ma lui ha spiegato ai media di come questo sia il suo primo passo di una carriera che vuole costruire con calma e gesso, come ha dovuto fare ogni giorno della sua vita. Servirà ancora tanto sacrificio ed abnegazione, ma Portland, che al momento, con Lillard in testa, è di sicuro la squadra più sottostimata di tutta la Nba, sa di aver preso un ragazzo su cui contare, e che ha già risposto presente guidando i Blazers fino alla finale della Summer League, persa contro Lonzo e soci, con 16 punti e 10 rimbalzi di media e anche tante cose che non finiscono nel foglio, che gli sono valsi tra l’altro l’inserimento del primo quintetto della competizione, ma ancor di più uno di quei giocatori che possono spostare da un momento all’altro le gare, ed un tiratore così strutturato non si vedeva da tempo nella lega di Adam Silver.