L'unico 18 che vale la pena prendere... Oscar Schmidt

Il leggendario brasiliano e la maglia ritirata al PalaMaggiò
19.12.2016 14:38 di  Domenico Landolfo   vedi letture
L'unico 18 che vale la pena prendere... Oscar Schmidt
© foto di Instagram Caserta

"Una volta (...) mi disse che ricordiamo solo quello che non è mai accaduto. Sarebbe trascorsa un'infinità di tempo prima che potessi comprendere quelle parole. Ma è meglio che cominci dall'inizio, che in questo caso è la fine" (Carlos Ruiz Zafon). La nostra storia ha un inizio scandito da una frase ben precisa, che ancora risuona tra le pareti di quel palazzetto: "Prendimi quell'uomo che piange e segna". Non è un dialogo né la più consona delle richieste di mercato, ma solo la chiacchierata amichevole di coach Tanjevic con il suo presidente, il Cav. Maggiò, che va in Brasile a pescare Oscar Becerra Schmidt, per portarlo a Caserta, ambiziosa società di A2. Di qui in avanti è leggenda.
Si potrebbero spendere pagine ed inchiostro per raccontare dei numeri del miglior realizzatore della storia della pallacanestro, di un recordman olimpico, di un atleta inserito nella Hall of Fame americana pur avendo "glissato" la Nba, ma non è questo ciò che seguirà tra queste righe, perché le leggende ci insegnano a vivere mescolando in maniera indistinguibile verità e menzogna: cadute, risalite, come canestri ed errori, sono solo le tappe di un percorso che porta a quella maglia col numero 18 ritirata ed appesa al soffitto del "suo" Palamaggiò, che diviene teatro di sogni ed incubi. La direzione è una, fare canestro, ancora e ancora, maledettamente. Le coincidenze non esistono.

Arriva dal Sirio, che è uno degli astri più luminosi del firmamento e porta quella sua bonomia e semplicità nell'imbucare la retina che passerà alla storia, smettetela quindi di credere alle coincidenze. Il suo modus operandi è una routine infinita fatta di gesti, meccanismi ed automatismi che vanno perfezionati. "Non si nasce col talento, è l'allenamento che lo forma, giorno dopo giorno, con ore e ore in palestra". Chiunque lo ha conosciuto sa di quelle sessioni infinite di tiro, che arrivavano dopo una sconfitta, assieme a sua moglie sulle lastre del parquet casertano, chiunque lo ricorda sul campo tende a dire spesso che i punti erano tanti, ma altrettanto numerosi erano anche i tiri, e non c'è nulla di falso in questo.
"Si vince sul campo, e per quel che mi riguarda a Caserta non ho vinto lo scudetto. Sono stato mandato via perché dicevano con me non si vinceva e questo mi ha fatto male, avrei dato l'anima per questa squadra, avrei voluto regalare a questa città che mi ha dato tanto la soddisfazione che meritava, eppure..." La verità è che la JuveCaserta, che allora vestiva in un bianconero orlato di arancione, raccoglie tante soddisfazioni ma solo una Coppa Italia. Le finali con Milano e quella con il Real sono pagine da consegnare agli annali, non bastano 44 punti se dall'altra parte Drazen ne mette 62 e ci siamo intesi. Ecco, questo rende grande Oscar, non serve il cognome, così come per i grandissimi, gli immortali, bastano solo queste due sillabe ed il collegamento che si fa è immediato: triple, punti, Brasile.

Quantunque la cittadinanza onoraria casertana nel match con Pesaro gli venga consegnata, con colpevole ritardo, ad una persona che, con la possibile eccezione di Vanvitelli, ha portato il nome della città della Reggia nel mondo, forse il mondo della pallacanestro cambia grazie al giocatore verdeoro forse nel suo più grande alloro, ed è Indianapolis il palcoscenico giusto. Finale Giochi Panamericani, gli USA si accorgono che non possono più fondare le proprie convinzioni sulla base dei dilettanti universitari, crivellati in una partita memorabile in cui "cambiò la storia". Non è un ricordo semplice, ma Lui non lo approfondisce, vira su quello di Seoul dei 55 punti. Milestone.
Ecco se c'è un termine che più gli si avvicina è quello che gli americani chiamano Milestone, che non ha un corrispettivo italiano, seppur deriva da una tradizione imperiale romana: ad ogni miglio, di ogni grande strada, viene posta una stele che serve ad orientarsi, ma che di fatto è solo il limite per arrivare al prossimo traguardo. Oscar è questo, contano i tiri sbagliati, non quelli mandati a bersaglio, conta il prossimo, quello ancora da prendere, la situazione successiva da analizzare sulla base dell'esperienza e del lavoro eseguito. Vi ho già detto che non credo alle conseguenze, ma lui torna nel giorno di Caserta-Pesaro, una delle sue battaglie campali perse, e il finale è degno della Juve dei suoi tempi. Bella ed incompiuta come la sinfonia di Beethoven, sconfitta, a capo chino, ma con lo sguardo rivolto al futuro. Oscar indossava in parterre una maglia su cui è disegnato Mickey Mouse, e la fiaba sovviene, puntuale.

Il campione brasiliano è apparso dal nulla ed è diventato qualcosa di immediatamente inserito a fior di pelle, a fior di cuore, nelle anime dei tifosi bianconeri. Lo si vedeva per strada sorridente, come uno qualunque, lo vedevi sul campo battagliare con quell'avversario odiato come il primo degli ultras, provare a tirare quel tiro impossibile che magari ti fa vincere ma di cui non hai rimpianti. Ecco cos'è stato Oscar per il basket, casertano ed internazionale, un talento costruito sulla base di sogni, che ha scritto pagine che, anche se non dettate dal lieto fine, sono state la base di partenza per nuovi e più felici progetti. Che lo si ami o lo si abbia odiato, Oscar raccoglie in sé le emozioni di un mondo intero, custodite per l'eternità, perché lui riuniva nel suo semplice modo di essere vite, sogni irrealizzati, speranze, tradimenti ed amori di migliaia di persone, che in quella palla imbucata nel cestino di pesche a 3,05 mt, trovavano la fine dell'arcobaleno.
La sconfitta con Pesaro è forse l'ennesima casuale coincidenza della partita in cui Sosa, nome che riecheggia per assonanza quello del campione brasiliano, spara alcune perle che tanto sembravano ricordare il numero 18 degli anni '80. Non importa il risultato sul tabellone dalle lucine fulminate del Palamaggiò, finché ci sarà un cuore casertano che batte per la pallacanestro, finché un canestro da crivellare sarà ancora disponibile, fosse anche uno di quelli malandati dei playground della città, Oscar sarà il mondo dell'impossibile che diventa possibile e già questo è il meglio della nostra passione per la palla a spicchi.