"The Last Dance": la recensione del sesto episodio

Continua il documentario su Michael Jordan ed i Chicago Bulls. Gli episodi V e VI sono probabilmente i più ricchi di spunti, qui quelli del sesto
05.05.2020 18:49 di Paolo Terrasi Twitter:    vedi letture
"The Last Dance": la recensione del sesto episodio

Il sesto episodio è un po' "diverso": pur mantenendo la solita struttura da flashback continui (stavolta con il 1993, anno del terzo titolo consecutivo, contrassegnato dalla rivalità con i Knicks di Patrick Ewing nelle Eastern Conference Finals, e con i Suns di Charles Barkley nelle Finals), il tema dominante è quello dell'Essere Michael Jordan, stavolta con tutti i suoi difetti ed i problemi che ciò comporta, primo tra tutti l'obbligo di mantenere una certa aura di perfezione per essere un modello che Jordan non voleva essere ("Sono pronto a rinunciare a questa vita", dichiara)

Con la Fama con la F maiuscola, con il ruolo di divo globale consacrato dai due titoli (poi tre) e l'oro Olimpico, arrivano anche le critiche, sia con il "tiranno" con i compagni che con la "scoperta" del lato ludopatico di Jordan. La discussa capatina ad Atlantic City dopo la sconfitta contro i Knicks, i racconti di Will Purdue, ci raccontano del grande difetto di Jordan, ossia una competitività tale da portarlo a scommettere su ogni cosa. Il problema non fu mai tale da diventare un guaio (le cifre impegnate, benché notevoli, erano spiccioli per uno come lui), ma fu abbastanza per incrinare il mito del superuomo. Non risentì a livello economico e popolare di ciò, ma lo stress comportato dalle attenzioni più aggressive dei media, cominciò a riempire di dubbi e di stanchezza la mente del numero 23 dei Bulls, seminando i germi del primo ritiro nell'estate del 1993. 

Il Jordan che ci viene dipinto nell'episodio sei è un Jordan sul tetto del mondo, ma che comincia ad accusare il peso della fama: non tanto sul campo, con pochissimi passaggi a vuoto sempre riscattati sul parquet, ma fuori, con la gioia della vittoria che diventa il sollievo della vittoria. Emblematica anche la chiusura, con MJ che rivela, prima del suo secondo ritiro, la sua intenzione di smettere ancora al top.