Chick Hearn, quando una voce rimane nella storia dello sport

Lo storico commentatore dei Lakers ha segnato indelebilmente lo sport americano con le sue radiocronache. Nessuno potrà mai eguagliarlo.
29.12.2014 14:00 di  Simone Mazzola  Twitter:    vedi letture
Chick Hearn, quando una voce rimane nella storia dello sport
© foto di Twitter

Ai giorni nostri ogni commentatore che abbia intorno ai cinquant’anni s’ispira al migliore, al pioniere, al rivoluzionario Aldo Giordani, ovvero il capostipite del linguaggio sportivo da telecronaca. Federico Buffa e Flavio Tranquillo ogni qualvolta possano lo citano portando aneddoti ed espressioni che lo riguardano, mentre negli States questa figura è insindacabilmente proprietà di Chick Hearn, storica voce dei Los Angeles Lakers.
Francis Dayle Hearn nasce ad Aurora, Illinois, nel 1916 e venne chiamato comunemente “Chick” perché al tempo dei suoi studi a Bradley i compagni per fargli uno scherzo dopo un allenamento gli fecero trovare nell’armadietto una scatola con dentro una gallina, spaventandolo a morte. Da quel momento in poi per tutti Hearn diventò solo “Chick”.

Avendo vissuto nel periodo della seconda guerra mondiale ebbe qualche problema nel sopravvivere, ma al termine di essa si trovò nelle Filippine a fare il primo play by play della sua storia; una specie di esordio fuori dai confini. Al rientro in patria cominciò il suo lavoro per una radio locale che lo pagava 47 dollari a settimana per pronunciare le previsioni del tempo, le notizie di cronaca e quelle sportive. Nel 1950 diventò la voce ufficiale della squadra di basket della sua università e qui ebbe inizio la sua ascesa che portò, sei anni più tardi, a essere assoldato dai Lakers per coprire le radiocronache delle partite.
E’ incredibile come le persone di L.A. lo abbiano apprezzato subito e abbiano legato inscindibilmente la sua voce alla maglia gialloviola, infatti erano tantissime le televisioni sintonizzate sulla tv nazionale che venivano messe mute per permettere alla radio e alla voce di Hearn di riecheggiare con le sue radiocronache.

Tutti conoscono la voce più ascoltata delle telecronache NBA, il Dick Bavetta del microfono, il Michael Jordan dei neologismi. Hearn fu il vero stakanovista del microfono con le sue 3.338 cronache consecutive senza mai saltare una partita, né di regular season, né di playoffs. Tutto questo venne prodotto in 36 anni di onorata carriera con la striscia partita il 21 novembre 1965 in un Sixers-Lakers 104-100 e interrotta il 20 dicembre 2001 nella vittoria contro i Golden State Warriors per 101-85, a causa di un problema al cuore che ne ha necessitato un intervento. Le cifre parlano per lui con 362.032 punti dei Lakers, 232 giocatori passati, 2074 vittorie e otto anelli vinti all’interno di una striscia che fa impallidire quella di AC Green, definito l’Iron Man dei giocatori NBA.
Ma il mitico telecronista non fu solamente la certezza dei Lakers, ma ha lasciato a tutti anche alcune perle che poi sono state riprese da tutti i commentatori dopo di lui, i cosiddetti “chikism”:

Airball= tiro che non prende il ferro
Slam Dunk= la schiacciata
No look pass= il passaggio senza guardare
Garbage time= lo spazio alle seconde linee quando la partita è decisa
Triple double= La tripla doppia che significa avere tre categorie statistiche in doppia cifra.
Finger roll= appoggio a canestro usando le dita della mano
Charity Stripe= La linea della carità, quella da cui si tirano i liberi.
Ticky Tacky foul= un fallo fischiato, ma decisamente dubbio
Unanswered points= quando una squadra fa un parziale di tanti punti consecutivi

Il vero Chickism che lo farà ricordare per sempre è senza dubbio: “The game is in the refrigerator” ovvero quando negli ultimi minuti la partita era già decisa prima del suono della sirena. Questa sua frase è assimilabile al famoso sigaro di Red Auerbach che veniva acceso solo quando il coach riteneva la partita finita, facendo infuriare i suoi colleghi di panchina.
La sua frase era una sentenza inappellabile e anche al suo funerale Magic lo confermò: “Quando sentivo che Chick pronunciava quelle parole, potevo stare tranquillo e andare a letto. Sapevo che la partita era finita.”
Riguardo a questo c’è un retroscena che spiega molto della caratura personale del commentatore e arriva alla fine della stagione 1994-95 quando i Lakers giocarono all’America West Arena di Phoenix ed ebbero undici punti di vantaggio con poco più di un minuto da giocare. Lui pronunciò quella fatidica frase, ma qualcosa d’incredibile permise ai Suns di rimettere in piedi la partita e vincerla con un jumper allo scadere di Michael Finley. Phoenix profanò la frase più caratterizzante della storia del gioco, tutta Los Angeles ci mise un po’ per riprendersi e da quel momento Chick decise di non usarla mai più, perché avrebbe perso di significato. In molti gli hanno chiesto di riprenderla dopo anni, ma lui non ha mai voluto sentir ragioni.

Era uno stimatissimo professionista e un genuino tifoso dei Lakers, ma la sua onestà intellettuale lo portò sempre ad essere obiettivo, infatti il suo tifo per i gialloviola non gl’impedì di essere anche molto critico con la squadra quando fosse stato necessario. Quando Shaq non segnava un libero o Kobe giocava da solo contro il mondo lo faceva notare. “Horry è per il 99% delle volte uno dei migliori difensori della lega -diceva- questa volta però siamo nell’1% rimanente”. Insomma, non risparmiava nessuno.
Era talmente una persona sincera e trasparente che durante una telecronaca scommise che Magic avrebbe fatto 2-2 ai liberi in un momento importante. “Se perdo pago un hamburger a tutti i presenti al Forum”.
Ovviamente Magic fece 1-2 e Chick dovette pagare pegno. Anni dopo un tifoso lo incontrò in un bar e lo fermò dicendogli: “Chick io quel giorno ero al Forum, mi devi un hamburger” (ovviamente non era vero), ma lui glielo pagò, si sedette al tavolo e regalò al tifoso mezz’ora di conversazione sui Lakers. Perché lui trattava tutti così, da Kareem all’ultimo dei tifosi.


Nel 1998 arrivò il momento di celebrare la sua grandezza con una cerimonia nell’intervallo di una partita casalinga dei Lakers (tra l’altro malamente giocata).
Fu la tremillesima partita per lui e venne ricoperto dagli applausi incessanti del palazzetto, ma poco dopo prese la parola e disse: “Ora che avete finito di applaudirmi, non è il caso di smettere di fare schifo e iniziare a giocare da Lakers?”
In questa frase c’era tutta la personalità e la purezza di un professionista e amante del gioco che nessuno potrà mai dimenticare, perché il 05 Agosto 2002, quando se ne è andato, ha lasciato un incolmabile vuoto in tutti i tifosi di pallacanestro.

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